3 Comments

Non a caso si celebra il proprio status DNF in una dimensione sociale, per trasformarlo nell'aver avuto la forza di ammettere di non farcela. Non mi tolgo dalla testa che sia pure questo un portato della cultura statunitense che capitalizza su tutto, basta pensare a come la salute mentale (privata) diventa un fatto pubblico. Che per evitare la stigmatizzazione va anche bene ma che non smette di farmi torcere il naso quando un megamanager va in burnout, sta depresso 6 mesi, torna in forma e... ci scrive sopra un libro. O forse sono solo infastidito da quest'eccesso di personalizzazione di cui il flow - come tu giustamente dici - è l'opposto: è un perdersi per essere paradossalmente molto centrati, è un guardarsi da molto distante, dimenticandoci del noi che è un abito sociale e non la nostra vera essenza. Il flow è lo stato di grazia ed è una delle attività più sublimemente egoistiche (ne godiamo solo noi, non riusciamo a dirla agli altri - per fortuna).

Expand full comment

Tutto bellissimo ma direi che "la forma più utile di gestione delle persone nell'organizzazione", se parliamo di organizzazione sul mercato, è di realizzare un business model sostenibile, dunque molto contestuale e, a volte, direi spesso, non è questione di flow.

Se poi allora rompiamo il frame della organizzazione industriale, allora la responsabilità di cercare il flow temo torni di responsabilità della persona come integrata nel suo contesto relazionale e ambientale.

Dunque forse vale la pena di pensare a cosa può restituirci la "libertà di prenderci cura" come dice Indy Johar, più che pensare che possiamo creare organizzazioni in grado di dare alle persone un non precisato flow. O no?

Expand full comment
author

non lo so. Dipende dal grado di maturità delle org. Che per quello che vedo, è estremamente basso. Primum vivere: occupiamoci delle persone ed evitiamo di perderle. Parliamone. Sono solo tentativi 🙏🏻

Expand full comment